IL CLUB OCCIDENTE della provincia di Ancona è stato inaugurato il 05 febbraio 2004.

Perché abbiamo costituto il club?
I clubs hanno sempre rappresentato un punto di incontro non di partiti e gruppi organizzati ma di liberi cittadini (PERSONE) con lo scopo di discutere liberamente ed elaborare programmi al fine di migliorare la vita delle comunità in cui vivono. Negli anni ’90 il crollo dei partiti che avevano governato per 50 anni il nostro paese con la conseguente polverizzazione delle loro culture e la manifesta incapacità dei nuovi soggetti politici a formare stabili identità collettive, ci ha spinto a pensare che ripartire dalla società civile, da libere aggregazioni come i clubs, potesse essere la metodologia più appropriata per riaggregare competenze, valori, esperienze personali, farle lavorare in sinergia per un progetto di società più aperta e più libera. Ecco perché il nostro club pur avendo come orientamento la casa delle libertà, non si identifica con nessun partito in particolare né tanto meno con correnti o gruppi organizzati; mentre è aperto a tutti i moderati credenti e laici.

Perché lo abbiamo chiamato OCCIDENTE?
Dopo l’11 settembre e le guerre in Afganistan ed in Iraq, una certa cultura europea ha rappresentato l’occidente come un aggressivo complesso militare - industriale che vuole imporre al mondo la sua egemonia. L’occidente è per noi quella tavola di valori che si fonda sull’autonomia del soggetto e sulla libertà della persona, che l’uomo occidentale, come Ulisse, da millenni ha iniziato la ricerca della sua identità con le armi dell’intelligenza e della sapienza. Occidente e non occidenti, perché Europa e Stati Uniti hanno la stessa identità; perciò è errato pensare che gli occidenti siano due, quello europeo e quello americano. L’occidente è uno e dopo la II guerra mondiale Adenauer, De Gasperi e Schuman ebbero chiara questa idea di unità di civiltà, legando le due sponde dell’Atlantico allo stesso destino. Memori che negli anni ’30 il prevalere di sentimenti antiamericani, anti inglesi, anti capitalistici, ed anti giudaici, portò l’Europa alla tragedia. Ora, dopo la fine della guerra fredda, si è aperta una nuova sfida, quella del fondamentalismo che si combina con il terrorismo. Non è uno scontro tra civiltà, ma certo una nuova guerra di difesa della civiltà. Ecco perché le nazioni libere si devono ritrovare unite in una comune carta di valori, in un’alleanza delle democrazie. Allo stesso tempo va combattuto un pacifismo a senso unico che più o meno apertamente rifiuta i valori fondamentali dell’occidente.

Perché il club nella provincia di ANCONA?
Le Marche, regione al plurale e divisa in valli, va analizzata trasversalmente e noi conosciamo nei particolari la cultura e lo stile di vita della Vallesina, è qui che è nato il nostro progetto.

Perché?
I soci fondatori si sono ritrovati a condividere un’analisi che nasce da una situazione di disagio. In sintesi negli ultimi 10 anni la società civile locale è stata progressivamente occupata da un gruppo di potere, per dirla con Gramsci, da un blocco storico politico-economico-culturale, creando una cappa che ha egemonizzato tutto. Abbiamo assistito ad una saldatura tra alcune famiglie di industriali, con il mondo della piccola industria e dell’artigianato, con la camera di commercio, con le fondazioni bancarie, con l’università, con i sindacati, con la maggior parte dei mezzi di comunicazione; tutti catalizzati dalle amministrazioni locali, ed in particolare dall’amministrazione regionale, dove l’accordo tra cattolici dossettiani ed una sinistra ancora in gran parte comunista, ha prodotto alcuni carrozzoni amministrativi, cavallo di Troia per una colonizzazione capillare da parte delle regioni rosse limitrofe che ormai considerano le Marche il loro Kossovo, quasi una discarica organizzata. Tutto ciò ha provocato un disagio crescente che si è progressivamente trasformato in indignazione ed insofferenza. La casa della libertà nella sua totalità non è riuscita a frapporre una difesa accettabile, ci rendiamo conto che il compito era e resta arduo.
Ma siamo ottimisti.

Giulio Argalia