Dalle Riflessioni del Dott. C. Grimaldi su un caso di morte volontaria

Mi è capitato di incontrare la Sig.ra Cesarini, nella propria abitazione, nell’occasione annuale della benedizione Pasquale delle famiglie di alcuni anni fa. Mi ricordo che venni accolto cordialmente, anche se, Daniela e l’uomo che era in casa con lei, dichiarassero di non essere credenti. Parteciparono, comunque spiritualmente, alla preghiera che feci con loro. Avverto spesso che certe forme di ateismo o agnosticismo, siano più rivolte ad una forte critica all’istituzione religiosa in sé, più che al bisogno o al desiderio interiore dell’uomo, di cercare o aspirare ad una qualche forma di trascendenza da sé.

La drammatica notizia della morte volontaria della Sig. ra Cesarini, appresa dai giornali, mi ha sinceramente rattristato molto, non avrei pensato mai una scelta così forte e radicale, pur avendo avuto l’impressione di una donna dal carattere deciso e dalla marcata determinazione. Una tale decisione, se pur tragica e destabilizzante, richiede certo una profonda riflessione, per dare un senso alla vita dell’uomo e della sua precaria esistenza quotidiana, ma anche molto rispetto verso la persona e distacco dai pregiudizi comuni.

Si è detto e scritto molto di Daniela che in questi ultimi tempi era stata provata duramente negli affetti: la morte del marito dopo la malattia, la recente scomparsa del figlio, le sua stessa condizione di invalidità fisica non avranno sicuramente giocato un ruolo marginale nelle future scelte e nel desiderio di liberarsi da questa vita ormai troppo dolorosa e angosciante. Il circolo K. Marx con il segretario del Partito di Rifondazione Comunista, il sindaco M. Bacci, gli anarchici, il direttore del giornale Vivincittà, il PDCI, il Vescovo di Jesi, un certo don G. Giuliani, tutti hanno espresso qualcosa dal loro punto di vista ideologico e religioso, ma ciò che più mi hanno colpito sono le parole che la stessa Daniela ha lasciato in un messaggio - che lei dott. Grimaldi riporta puntualmente nel suo scritto - per far comprendere il suo gesto, prendendo in prestito, a sua volta, le parole del cantautore F. Guccini: ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare, ma non raccontare a me che cos’è la libertà in cui mi sembra di comprendere l’intenzione di volerci dire che ognuno deve essere libero di scegliere per la propria vita, cioè ognuno è padrone di scegliere per sé, e del proprio destino ultimo.

A questo punto la sua domanda dott. Grimaldi mi spiazza un po’, perché le due espressioni, che lei usa, mi sembrano sulla stessa linea d’onda: “morte volontaria” o “suicidio assistito” non so no più o meno la stessa cosa? Con una differenza: nel primo caso scorgo più una decisione volontaria forte e determinata di qualcuno che la vuole fare finita e si suicida ma senza chiedere niente a nessuno…nel secondo caso ho più l’impressione di qualcuno che decide, si di farla finita, ma non riuscendoci con le proprie forze, chiede un aiuto collettivo, appunto un’assistenza nel morire. Mi trovo in difficoltà: sarebbe rispettoso e secondo giustizia chiedere all’altro uomo, che mi sta di fronte, persona singola o stato, di uccidermi? E’ corretto chiedere all’altro quello che io non sono capace di fare, non lo metterei in una condizione di estrema difficoltà di coscienza e di tensione emotiva? Non lo priverei a sua volta della sua libertà di coscienza?

Come dice bene lei, la Chiesa Cattolica rifiuta qualsiasi forma di rifiuto della vita e dell’autorità di Dio su di essa, la vita è un dono di Dio che non può essere buttato o disprezzato, sarebbe anche rifiuto del disegno d’amore di Dio su di noi. Certo in una prospettiva di fede le cose diventano ancora più complesse, proprio perché per chi crede c’è un confronto ulteriore con Dio, oggetto del nostro credere e del modo di percepirlo e conoscerlo. Il mondo Orientale e in particolare la filosofia di vita del Giappone mi sfuggono ampiamente ma delle religioni Orientali ho sempre immaginato, che la loro differenza da noi, si basi soprattutto sulla cifra della categoria della salvezza: è Dio che ci salva per la concezione delle grandi religioni monoteiste Occidentali, siamo noi che ci salviamo da soli nella religiosità Orientale. E questa differenza cambia il modo di pensare dell’Occidente, dell’Oriente e quindi la stessa base culturale.

Certo è che se l’Italia fosse un paese veramente laico e veramente libero, da una certa ideologia religiosa dominante, dovrebbe legiferare in modo che tutti i cittadini possano essere tutelati dallo stato, qualsiasi idea religiosa o politica essi abbiano, questo sarebbe un paese moderno, ma non credo che l’Itali in questo senso ancora lo sia; per esempio penserei ad un “testamento biologico” per cui l’individuo possa esprimere la propria volontà sulla sua fine, quando è ancora lucido e sereno, perché se è vero che la vita ci è stata donata da qualcuno prima di noi, è vero pure che ci appartiene e che ne possiamo disporre come meglio crediamo (se ricevo un dono, quel dono diventa mio e ne faccio quello che voglio, lo posso anche distruggere, volendo…).

Ora c’è qui tutta la mia inquietudine, e il mio dubbio: è vero che l’esperienza più profonda dell’uomo è l’essere libero e la possibilità dell’auto-determinarsi dell’intera persona, e questo è addirittura affascinante e sconvolgente. Il bambino che si stacca dai propri genitori, comincia a camminare, si allontana da loro, diventa uno in sé e andrà crescendo e maturando: quanto è veramente tutto suo, quanto è solo se stesso e quanto del mondo che lo circonda? Ho come la sensazione che la nostra vita non è solo nostra, ma anche “degli altri”.

Insomma questo tema della vita e della morte è così grande, e così sfuggente, che non credo basti una vita per rifletterci e parlarne. E la mia angoscia si accresce quando penso che la vita è un “dato” di fatto che abbiamo ricevuto, c’è capitata così tra le mani, “gettati nel mondo”. La vita ha una sua struttura interna, costitutiva, dinamica, prefissata da cui non si sfugge, una specie di materiale biologico. E’ disponibile a noi perché siamo creature libere, persone pensanti capaci di scegliere e riflettere. C’è una specie di auto-essere della vita umana che la rende non proprio del tutto proprietà del singolo uomo. Come a dire c’è per chi crede un Creatore che è prima e dopo, o per chi non crede la Natura, in cui siamo immersi e che sfugge al soggettivo o all’individuale. Inoltre la vita non ha anche una dimensione sociale? Si dice che per un terzo siamo biologia, per un terso famiglia, per un terzo società; cioè l’uomo è essere sociale non solo individuo, nessuno vive solo per se stesso e quindi nessuno muore solo per se stesso. L’esistenza, nel bene o nel male, è anche un reticolo di relazioni, è anche partecipazione, condivisione, non è solo totalmente mia e basta, è anche “insieme”. La mia libertà è anche in confronto con l’altro, non è solo assoluta è anche relativa.

A questo punto mi sono perso, non so più sinceramente andare avanti, e più ci si inoltra in questo confronto tra la vita e la morte e più sembra di inoltrarsi in un confronto complesso e difficile da decifrare.

Pur se ancora rimango affascinato dal ricordo della scena di un film, visto alcuni anni fa: un anziano capo di una tribù indiana, ad un certo punto della vita, in là con gli anni e malandato, si allontana volontariamente dal villaggio verso la foresta profonda, sapendo di non poter più ritornare indietro da quel posto ostile e pericoloso: come a dire che si nasce da soli e si muore da soli. E ciò mi ha dato il senso del profondo rispetto che si debba avere nei confronti delle scelte degli altri, anche se non sono in sintonia con le proprie.

Mi colpiscono particolarmente le parole di un certo Vladimir Nabokov citate dal Cardinale Gianfranco Ravasi, dal cui pensiero mi sono lasciato affascinare, ispirare e coinvolgere per finire questa riflessione: “la vita umana è una serie di note a piè di pagina di un immenso e oscuro capolavoro”.

don Luca Giuliani

lucadon72@hotmail.it

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