Il tramonto dell'Euro

Il tramonto dell’euro

di Claudio Piersimoni

Fino a pochi anni fa, l'opinione pubblica era ancora marcatamente filoeuropea.Il pensiero unico veicolatocapillarmente dai media sosteneva che una valuta forte ci avrebbe salvati dalla bancarotta ed avremmo potuto conseguire mirabolanti benefici in termini complessivi ed a livello individuale. Per un intero decennio abbiamo vissuto in una bolla opportunistica in cui della moneta unica europea coglievamo solo i vantaggi di sistema. Senza curarci di come gli altri paesi avessero adottato svalutazioni competitive tali da collocare la moneta europea in una scomoda condizione di sopravvalutazione. Questo il gioco esterno. All'interno, tutti i paesi lucravano sull'euro, dal punto di vista dei bassi tassi di interesse, ma nel contempo cresceva il divario tra i pa­esi cicala e i paesi formica, in barba ai principi di solidarie­tà contenuti nel rattato di Maastricht. Questi ultimi infatti, capitalizzavanoi risul­tati conseguiti con le riforme (welfare e mercato del lavoro) at­tuate nella seconda metà degli anni 90 traendo grande beneficio dalla moneta unica, in termini di esportazioni, ma anche di fi­nanza, sia privata che pubbli­ca.Purtroppo, gli squilibri nei rapporti tra esportazioni ed importazioni e nei flussi di capitali non potevano che riflettersi sul deficit e sul debito deipaesicicala. Il bengodi dell'Eurozona è durato dall'introduzione della moneta unica nel 1999 fino a ottobre 2009, quando la crisi in Grecia ha svelato tutti i difetti della moneta unica.

Ma oggi, dopo quattro anni di crisi devastante e rischio di default, quanto è negativa per gli italiani la presenza nell'Unione e nell'euro? L'Unione sta rivelando i suoi limiti politici e l'atteggiamento di Bruxelles nei confronti dei Paesi in difficoltà come la Grecia, la Spagna e persino l'Italia, ha dimostrato che i governi nazionali sono ormai eterodiretti dai grandi rappresentanti del capitale finanziario, Banca Centrale Europea(Bce)e Fondo Monetario Internazionale in testa.Per fortuna gli euroscettici non mancano: dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann al ministro finlandese per gli Affari europei Alexander Stubb; dal leader del Fronte Nazionale francese Marine Le Pen al leader del Partito della Libertà olandese GeertWilders; dal leader dei Veri Finlandesi Timo Soini al capo del governo ungherese Viktor Orbàn. Con sfumature diverse tutti loro hanno preso le distanze dall'euro, denunciato la Bce e condannato questa Unione Europea. Ma non è certamente il caso degli esponenti politici italiani! Infatti, anche coloro che dichiarano pubblicamente di volere il referendum sull'euro e sull'Europa (Grillo, Maroni e Tremonti) apparendo così oppositori del pensiero unico, sono di fatto d'accordo sulla permanenza nella moneta unica e respingono risolutamente l’epiteto di euroscettici. Opportunismo italiota, o peggio?La verità è che se fossero stati veramente contrari all'euro, avrebbero concentrato la loro proposta sul riscatto della sovranità monetaria, per affrancarci dal signoraggio della Bce.

Gli Stati che fanno parte di una unione monetaria ove la banca centrale non funge da lender of last resort(come nel caso dell’area euro) emettono debito in una valuta su cui non hanno il controllo. Di conseguenza, i governi di questi paesi non possono ga­rantire che ci sarà sempre liqui­dità disponibile per rimborsa­re i titoli del debito alla scaden­za. Al contrario, ciò non accade per gli altri paesi, perché essi emettono debi­to nella loro valuta e possono quindi garantire che ci sarà sempre la liquidità necessaria per rimborsare i titoli.Quando gli investi­tori temono difficoltà nei paga­menti da parte dei governi, a causa della recessione oppure per la scarsa credibilità dei con­ti pubblici, come è avvenuto in Grecia, vendono i titoli di Stato. E questo produce due effetti: au­menta la spesa per interessi che gli stati debbono pagare sul debito pubblico e spo­sta la liquidità verso investi­menti considerati più sicuri.

L’unica ricetta anti-crisi segui­ta in Europa è stata quella maso­chistica e pauperistica imposta dalla Germania. Servo­no misure diverse dal Fiscal Compact, un trattato europeo con cui ci siamo auto-imposti di ridurre la spesa pubblica di circa 45 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni, fino a raggiungere il rapporto del 60% tra debito pubblico e PIL.Non ci sono le condizioni perché l'austerity funzioni La ricetta dell'austerità ha funzionato a volte, e parzialmente, solo in presenza della possibilità di essere accompagnata da una forte svalutazione, con margini per una riduzione consistente dei tassi di interesse, per Stati non grandi e in un contesto di espansione della domanda negli altri paesi, cioè con una compensazione tra domanda interna ed estera. Queste condizioni oggi non sono presenti.Inoltre, la politica dell'austerità può portare a riduzione di costi e prezzi solo attraverso un aumento della disoccupazione e con la distruzione di parte del sistema produttivo. La stessa discesa dell'inflazione attuale non è segno di un aggiustamento virtuoso in corso, ma solo di un avvio di spirale deflattiva.

Benché la natura antidemocratica dell’Unione Europea e della moneta unica dovrebbero essere ormai evidenti a tutti, ancora oggi proporre l’uscita dall’euro rimane un tabù che pochi osano infrangere apertamente. Tra questi annoveriamo Alberto Bagnai, professore associato di Politica Economica presso l’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara, che nel suo libro, intitolato Il tramonto dell’euro, Imprimatur Editore - 2012, invoca apertamente l’uscita dell’Italia sia dalla moneta unica che dall’Unione Europea. Contrariamente a certi ingenui sognatori che pensano che l’UE possa essere riformata democraticamente, magari facendo sì che la Bce diventi simile alla Federal Reserve americana ovvero un lender of last resort attraverso la emissione di comuni titoli di debito pubblico (Eurobond), Bagnai comprende bene che questa Unione, così com’è, non è riformabile. L’integrazione monetaria europea dapprima con lo Sme e poi con l’euro ha rappresentato l’episodio culminante di un processo di attacco ai diritti dei lavoratori sferrato in Italia sin dall’inizio degli anni ’80, in modo perfettamente sincronizzato e coerente con quanto stava accadendo negli altri paesi occidentali. Non è dunque un caso che il Premio Nobel per l’Economia Robert Mundell abbia definito l’euro il «Reagan europeo».
Affinché il riscatto della nostra sovranità monetaria possa compiersi, è necessario sia uscire dalla moneta unica sia affrancarsi dalle manette imposteci da quest'Europa sotto forma dell'obbligo del Pareggio di bilancio inserito nella Costituzione, del Fiscal Compact e del Patto di stabilità interno. Infine, servirebbe una discussione franca nel Consiglio Europeo prendendo atto che l’euro così com’è rischia di implodere. Si potrebbe istituire un Euro-2 per i Paesi periferici dell’Europa con una svalutazione controllata al 20-30%. Il debito estero potrebbe essere rinegoziato. Oppure ricomprato tramite una imposta patrimoniale.Scrive infatti Bagnai, all’interno del suo libro: « i costi economici dell’uscita dall’euro, gonfiati ad arte dai media, vanno confrontati con i costi economici e politici della permanenza nell’euro». Ed ancora: «l’Europa non è l’euro.L’Europa non è l’Unione Europea.Contestare queste forme non significa essere antieuropei.E’ invece antieuropeo, per ignoranza o per asservimento ad interessi particolari inconfessabili, chi si ostina a difendere queste istituzioni fallimentari contro ogni ragionevole evidenza e contro l’avviso dei maggiori studiosi internazionali.»

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